Interno

Giorni e giorni a girare dentro casa. La casa in cui sono nata, la casa che conosco ma che, mai come in questo periodo, avrei voluto cambiare. Non potendolo fare, ho iniziato a guardare gli oggetti che mi circondano nei particolari e scoprendoli, attraverso le foto, interessanti. Così è nato interno e così ho capito che anche loro, gli oggetti, sono casa.” [Lucia Guiso @instaloop]

Un delizioso progetto ideato e sviluppato da Lucia Guiso durante la quarantena. Lo trovate anche su Instagram, nel suo profilo @instaloop.

Foto Lucia Guiso | Testo Sara Tetano

 

INTERNO 1
“Angoliere, mensole, vetrine, scaffali con innumerevoli soprammobili. Non più esposti, ma serrati, in file, come soldati dentro un fortino, a guardia della polvere.”
INTERNO 2
“Portaombrelli finto Ming. Centrotavola a uncinetto. Tazzine da caffè rifinite in oro. Mappamondo con emisferi sfalsati. Bassorilievo in argento con scena di caccia. Pentole in rame. Coro di angeli in gesso. Topolino di cristallo.”
INTERNO 3
“Sono circondata.”
INTERNO 4
“Piatti da parete, lampade da tavolo, vasi vuoti… – CU-CÙ’! – Oddio! Ogni volta mi spavento: l’orologio a cucù del nonno. Lo odiava.”
INTERNO 5
“La poltrona della zia, il tappeto sfrangiato, il portapenne del diploma, le bomboniere dei battesimi. L’enorme ventaglio rosso, le piume di pavone e il macinino da caffè, sul caminetto.”
INTERNO 6
“Butterei tutto, ogni cosa. Darei una rinfrescata. Immagino pareti bianche e ripiani liberi. Pulire sarebbe una passeggiata. Sì, butterei tutto. Anzi, ora lo faccio. Prendo questo scatolone, ecco… E via! Senza pensarci!”
INTERNO 7
“Inizio senza indugio dalla gondola. Non ti ho mai sopportata. Se penso al giorno in cui Ernesto ce l’ha regalata! Ma come gli sarà venuto in mente? Inoltre l’aveva presa alla stazione di Chioggia; a Venezia non era neanche riuscito ad arrivarci, per via di uno sciopero dei macchinisti. Non riuscivamo a smettere di ridere. AHAHAHAHAH! Che risate! Già.”
INTERNO 8
“Vabbe’, inizio dall’orologio. Quel dannato cucù, sempre a ricordarci del tempo che scorre. Se penso alle ore che il nonno ha sprecato a ricaricare e ad oliare il meccanismo; ogni volta tirava giù tutti i Santi. Sembra quasi di vederlo, tricche-tricche, con quella chiave. A proposito, gli do una caricatina, va’.”
INTERNO 9
“Tutti questi ninnoli, poi, via! Sparire!”
INTERNO 10
“E questo? – Battesimo Concetta, 4 marzo 1953 – Avrebbe compiuto sessssaaanta…seeette anni. Era allergica ai peli di gatto e infatti inveiva sempre contro la poltrona di zia Pina. ‘Vecchia gattara pazza!’ l’apostrofava, ma poi le chiedeva sempre di Prince, il bellissimo persiano sordo della zia. Lo aveva chiamato così perché anche se lo era , maschio, non lo sembrava affatto.”
INTERNO 11
“Si sedeva sempre su questa poltrona, sbilenca come lei, e iniziava a lamentarsi dei fascisti. E il nonno a dirle che non ce n’erano più di fascisti, mentre bestemmiava – tricchetricche – contro quel maledetto uccellaccio a cucù. O contro i fascisti.”
INTERNO 12
“Dio. Quanto vorrei trasformare tutto, modernizzare, ora più che mai, ora che ho tutto questo tempo e mi sento soffocare in queste stanze sempre uguali, in questo museo del souvenir.”
INTERNO 13
“Non si tratta di mancanza di coraggio. Gli oggetti sopravvivono alle persone e i ricordi sopravvivono agli oggetti, non c’è perciò alcun bisogno di accumulare. Non ci deve essere, allora, alcun timore del gettare.”
INTERNO 14
“Eppure è ancora tutto qui. Mi siedo.”
INTERNO 15
“La poltrona della zia balla un po’, ma non troppo, mi sembra di sentire quel suo profumo, acqua di rose misto a piscio di gatto. Da qui si vede tutto il soggiorno, gran parte della cucina e uno scorcio del corridoio, con quell’orrendo ventaglio spagnolo. Non mi pronuncio, poi, sulla madia: non ho idea di cosa possano contenere quei cassetti.”
INTERNO 16
“Da qui, in un colpo d’occhio, l’intera vita di una famiglia e di tutto quello che le girava intorno. Non è l’amore per il kitsch e neanche la pigrizia a farmi vivere sommersa da cose che non ho scelto. Non è la pietà verso gli oggetti e neanche quel briciolo di umanità che mi resta a portare rispetto.”
INTERNO 17
“È il bisogno. Il bisogno di aprire una porta, richiuderla alle mie spalle e farmi difendere, come fa la polvere, da un esercito di cianfrusaglie che, in segreto, chiamo casa.”
INTERNO 18
“In fondo quel ventaglio non è poi così osceno. Se gli scatto una foto da qui… – CUCÙ! CUCÙ! CUCÙ! CUCÙ! – Maledetto uccellaccio! Si è di nuovo incantato…” Tricche-tricche, tricche-tricche.

 

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