Grigioazzurro

T-CLANK!

-Ecco, così.

La canna si chiude con un rumore nero di stantuffo. Sorride, le manca un incisivo, ma il topolino ha lasciato qualche monetina sul camino e al dolore non ci si pensa più. E poi è divertente passarci la lingua in mezzo.

-Adesso poggia bene il calcio sulla spalla e tieni stretto con tutto il braccio, così non trema. – Lo sente freddo attraverso il cotone della maglietta.

Con gesto fin troppo naturale imbraccia l’arma, la mano sinistra a sostenere e la destra a posarsi sul grilletto. Il sole alto, l’aria ferma, i panni stesi e già rigidi nel terrazzino esposto ad Est sono il metronomo di lunghe giornate a conoscere la vita. Arriva giusta giusta al parapetto.

-Vedi quel tagliettino a V in quel pezzo di metallo?

-Sì.

-Chiudi un occhio e prova a guardarci attraverso. – Strizza un occhio alla volta e sceglie il più buono.

-Cosa vedi?

-L’albero, le foglie.

-Lo vedi quell’uccellino lì?

-Sì.

-Prova a metterlo dentro quel taglietto.

-… – muovendo di pochi centimetri quel terribile prolungamento di intenti. Le foglie dell’albero si muovono appena, come il respiro della pianta.

-Ce l’hai? Quando ce l’hai, premi il grilletto. Attenta al rinculo.

Trattiene il fiato e preme. Sensibilissimo, suono secco di morte, PAM. No, non è PAM. È PA’. Il tempo di riaprire l’occhio e un peso precipita dall’albero. Lieve letto di cotone di pioppo ad accoglierlo.

-Brava!!! Ahahahah! Che mira! Brava, davvero… Andiamo a vedere.

Fiera come un’amazzone, saltella mentre riapre la canna per ricaricare. – No, no. Non si lascia mai l’arma carica, è pericolosissimo, ricordalo!- Chiude la carabina senza piombino. È così piccolo quel piombino, un po’ sporco, grigioazzurro, a punta, con tante piccole righe incise lungo il perimetro. Piccolissimo davvero. È difficile tenerlo addirittura tra le dita. Minuscolo e innocuo. Lo tiene stretto in mano.

-Andiamo a prenderlo, prima che lo trovino i cani.

Attraversa bagno e corridoio freschi, poi il cortile caldo, correndo di fronte a lui, soddisfatta, fino ai piedi del grande albero. –Eccolo!

Lo prende: un passerotto dai toni di grigio e marrone, grande poco più della sua mano aperta. Le ali adese al corpo, strette strette. Una goccia di sangue scuro. Solo una. Quanto sangue in corpo potrà mai avere uno scricciolo così?

–Brava, che bel colpo! Pieno petto!

-È ancora vivo…

Il passerotto ha la palpebra inferiore chiusa a metà. L’occhio grigioazzurro, così piccolino, con tante piccole righine di pelle. Minuscolo e innocuo. Respira, poco. Lo accarezza, lungo le ali, sulla testolina, piccola piccola, dove le piume sono così sottili da sembrare pelo di gatto. Ogni volta che lo accarezza, la palpebra si chiude. Difficile capire se per piacere o se per ultimo silenzioso rifiuto della mano che lo ha scelto come gioco. Ancora qualche altra carezza e la palpebra si chiude del tutto, con un leggero fremito. Trattiene le lacrime, non vuole essere una guerriera debole di fronte al padre così fiero, ma vorrebbe morire al suo posto. Vorrebbe tornare indietro nel tempo. Vorrebbe cadere da qual ramo alto e spaccarsi l’osso del collo. Vorrebbe vomitare quel sangue che le si sta spostando forte verso le tempie. Tagliarsi il dito che ha sparato. Cavarsi l’occhio che ha mirato. E piangere, piangere a dirotto. La sua vita, messa a confronto con quelle ali, non vale nulla.

Lo tiene stretto tra le mani, senza piangere, con la gola distrutta e si dirige verso casa, a mostrare il trofeo.

T-CLANK!

-Ecco, così, brava. Impari in fretta.

-Sì. – con voce tremante, strizzando un occhio e mettendo dentro il taglietto a V la scritta Ichnusa della lattina poggiata sul muretto a secco.

[cit. I vampiri portano l’ombrello – E. A. ]

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