Mocassini.

Ti ho sognato.
Altissimo.
Indossavi una maglietta nera con delle macchie di colore. Un po’ Pink Floyd, un po’ Art Attack, ma più Pink Floyd. Mogio, ciondolante, ti avvicinavi sbilanciato sui tuoi fianchi stretti, allargàti solo dalle mani in tasca. Avevi qualcosa di strano. Armeggiavo, inginocchiata sul pavimento ed ero così triste che non ho sorriso neanche quando ti ho visto poggiarti allo stipite della porta. Le porte, accanto a te, sembrano tutte basse. Ci siamo guardati. Zitti. E ho ripreso a fare quello che era stato interrotto dal silenzio dello sguardo. La tua faccia portava stampate addosso delle scuse. Poi, scuse per cosa? Lo sapevamo che sarebbe andata così. Avevi qualcosa di strano. Eri spettinato, come piaci a me. Gli uomini spettinati hanno sempre qualche pensiero interessante. Credi sia per questo che la calvizie è in crescita? Credi che ‘calvizie in crescita’ sia un ossimoro? Scusa. Sai che non riesco a essere seria e che nulla mi preoccupa, ma è colpa dell’atarassia. Scusa, sai che divago sempre. Ma non eri tu a dovermi chiedere scusa? Avevi qualcosa di strano. L’ho già detto? Scusa. Ci sono cascata di nuovo, scusa, non ti volevo chiedere scusa. Cioè. Non ti dovevo chiedere scusa. Ochei, smetto. Avevi qualcosa di strano. È che ripetere le cose mi aiuta a capire [1] e son sicura che anche nel sogno dovevo concentrarmi su qualcos’altro per riuscire a recitare la parte dell’offesa pur avendoti vicino. Non trovi che scusa sia una parola strana? Sss-cuuu-sa. Ha un suono duro seguito da uno dolce. Come una salita seguita da una discesa, in bici, senza mani, con l’aria fresca in faccia e l’accettazione della caduta. Credi sia questo il motivo che la rende difficile da pronunciare? Avevi qualcosa di strano. Mi guardavi lavoricchiare indaffarata, senza parlare e hai accennato un sorriso di denti storti. Non ti ho mai detto quanto mi piacciono. Non riesco proprio a ricordare cosa mi impegnasse così tanto. Forse cercavo di farmi il nodo alle scarpe. È una cosa importante. Su una certa tipologia di scarpe o il nodo è fatto bene dalla mattina o la cosa si ripercuote su tutta la giornata e ti ritrovi a inciampare su quel piccolo errore, in continuazione. Credi sia per questo che gli uomini indossano i mocassini? Se poi appartieni a quel genere di persone che si sfila le scarpe senza slegarle, beh, ti lascio immaginare. Che lo sai fare bene. Che lo sappiamo fare bene. Avevi qualcosa di strano. Come se non fossi tu. Come se potessi affermare con cognizione di causa che eri diverso. Poi hai parlato.
– Hey…
– In che senso?
– Hey, nel senso di ciao.
– Allora di’ ‘Ciao’.
– D’accoooordo: Ciao.
– Non usare quel tono con me. Lo dico per te, sai? Credi che ‘hey’ sia più tenebroso? Più macho? Sei troppo alto per sembrare macho.
– …no. Era solo un modo per salutarti.
– Beh, lo trovo stupido. ‘Hey’ non è un saluto. Con ‘hey’ si iniziano le frasi.
– Ad esempio?
– Ad esempio: ‘Hey, tu, giù le mani dalla mia donna!’
– Ma questa è una frase da macho. 
– Appunto. E tu sei troppo alto per sembrare macho. 
– L’hai già detto.
– Sì? È che ripetere mi aiuta a capire. Scusa.
– Hai già detto anche questo.
– Cosa? Scusa?
– No, che ripetere ti aiuta a capire. Guarda, lo hai detto qui, dove c’è la nota [1].
– Da quando ascolti quello che dico?
– Vuoi litigare, vero?
– E comunque non l’ho detto, l’ho pensato.
– E quindi?
– E quindi non puoi averlo sentito.
– Ma questo è un sogno.
– E nei sogni non c’è bisogno di parlare?
– No. Vedi che non stiamo muovendo la bocca?
– Hai ragione. Ma questo è un passo avanti immenso nella storia dell’umanità! Hai qualcosa di strano.
– Trovi? 
– Certo! Pensa a chi soffre di alitosi. 
– Tu hai problemi.
– Non di alitosi.
– Senti, scusa.
– Scusa?
– Scusa.
– Sei venuto fin qui, mentre cercavo di dormire dopo una giornata passata a maledirmi, per chiedermi scusa, in sogno?
– Sì. 
– Mamma mia quanto è diventata noiosa la mia  vita.
– Piantala. Accetti le mie scuse?
– Avrei preferito lo sforzo di un biglietto aereo, ma vista la pericolosità del mio mondo onirico, apprezzo anche il coraggio di esserti infilato nel mio sogno. Non è un posto sicuro questo, sai? Con quella maglietta poi…
– È di Art Att
– Non dirlo! Ci sono delle cose nei sogni che è meglio restino vaghe, sfocate. Come qualcosa nel tuo volto.
– Hai messo le lenti a contatto?
– Scemo. Hai qualcosa di strano.
– Inizio a pensare che questo sia in un sogno ripetente.
– Credo che si dica ricorrente. E comunque perdere un anno scolastico non è così grave. Io ne ho persi tre. Di fila.
– Di Nike, invece?
– Inizio a pensare che questo sia un incubo.
– Sai bene che una nostra conversazione dal vivo sarebbe così.
– Ti ho mai parlato dei miei sogni premonitori?
– No, però ho dei problemi ai premolari.
– Oddio. Quanto manca alla sveglia? E comunque i tuoi denti non hanno nessun problema.
– Accetti le scuse o no?
– Fammi affilare l’accetta e ci mettiamo d’accordo.
– Dai.
– Certo che le accetto.
– E ora? Che faccio?
– Niente, come sempre, stattene lì, sullo stipite. Senza mai entrare. Senza mai uscire.
– Tu cosa vorresti?
– Essere abbastanza.
– Vado via?
– Sì.
Sbam!
– Guarda che non può sbammare questa porta.
– Ah, no? E perché?
– Perché è una porta scorrevole.
– Ah. Grazie. Allora…
Swiiisss…
– Che c’è ancora?
– È una porta a vetri.
– Vedo.
– Resto?
– Resta. Ma fatti ricrescere la barb…ecco cos’era.

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